mercoledì 12 marzo 2014

Succo di bambù

Ad ogni tribù il suo vino.


È risaputo che l'essere umano ha la grande capacità di trovare il modo di produrre bevande alcoliche da ciò che la terra gli regala, qualsiasi prodotto esso sia. Quando racconto ai tanzaniani che mio nonno produce una bevanda alcolica dall'uva, il nostro benamato Merlot, non capiscono come sia possibile. Per non parlare della grappa di mele, che sembra loro una pazzia. In Micronesia la bevanda dei grotti è l'alcol di palma. Qua in Tanzania invece il vino si fa con le banane. O con la manioca. O più classicamente con il mais. O ancora addirittura con cioè che rimane delle rosicchiate pannocchie, si può ricavare una bevanda chiamata kangara. Le donne fanno bollire i tutoli sul fuoco in grandi calderoni simili a quelli che usavano le nostre nonne per fare il bucato, fino ad ottenere una bevanda densa e torbida il cui profumo ricorda quello di una strana polenta al marsala. Ma in particolare, nei villaggi rurali della Tanzania con marzo è cominciato il periodo di maturazione del succo alcolico del bambù.

Dolce come uno champagne liscio, quasi trasparente, leggero e fresco come un sorbetto. Favorito da tutti: donne, uomini, e persino dai bambini che lo sorseggiano di nascosto. Dopo e durante i duri lavori nei campi ci si siede all'ombra delle canne di bambù su una panchina fatta di canne di bambù, con un recipiente da litro in plastica colorata che gira di mano in mano. Come in riunione. Se giorno di festa lo si mischia a un goccio di gazzosa.


Non serve nessun processo di preparazione: basta tagliare la canna a metà e filtrarne il liquido, che ne esce già pronto per essere servito. Una volta estratto bisogna berlo entro la fine della giornata. Più si aspetta più aumenta il percento alcolico, fino a diventare tossico. I bambù crescono ovunque, e chi ha uno spiazzo di terra si ritrova automaticamente a possederne il succo. I contadini tagliano le proprie canne, ne ricavano la gradita bevanda che vendono poi per trenta centesimi al litro, guadagnandosi così qualche spicciolo. Parte del succo viene pure trasportato dai campi alle piccole cittadine da giovani ragazzi in bicicletta. Questi caricano cinque o sei taniche da venti litri di prodotto, e pedalano così appesantiti per decine di chilometri ai bordi delle carrozzate, tra i colpi di clacson dei cammionisti.

Un alcol senza prezzo, buono e presente in abbondanza, diventa tema di discussione persino per il governo tanzaniano. I politici hanno già indetto infiniti raduni ed assemblee; sostengono che il succo di bambù sia la causa principale dell'alta percentuale di malati di aids della regione, al primo posto nelle statistiche. Il parlamento, in un tentativo di riduzione del consumo, ha votato al controllo degli orari d'apertura dei bar delle cittadine, che ora devono limitare le vendite al primo pomeriggio.

Ma l'alcol è prodotto localmente, e si consuma perlopiù nei campi o nelle case dei contadini stessi, che riceve i clienti direttamente nel proprio salotto. Nessuna necessità di insegne; tutti sanno dove si può sempre bere un litro di succo o in buona compagnia. Seduti su vecchi divani malconci, dai i cuscini consumati tanto da lasciar scorgere le assi di legno, la gente chiacchiera e si aggiorna sugli avvenimenti della giornata. È come ascoltare il notiziario: coloro che visitano il salotto, dopo parecchie buone sorsate di succo, parlano in scioltezza a ruota libera. La padrona di casa è quindi lei stessa una sorta di gazzetta popolare, ricca di succulenti pettegolezzi, a conoscenza di tutti i più recenti intrighi del villaggio. D'amore, di mais, di pestaggi, di incidenti stradali. Tra le buone e le cattive notizie il clima rimane allegro e il salotto si fa sempre più affollato. Un giovane dalla camicia sfilacciata con una berretta rossa con scritto in fronte “OBAMA” solleva il suo litro e lo studia attentamente. Pensieroso osserva: “Sono sicuro che se Gesù fosse nato in Tanzania, all'ultima cena avrebbe alzato il suo litro di succo di bambù... E questo è ciò che avremmo sentito ogni domenica!”.